La Lazio parte subito con Re Cecconi. La passa a Ghedin che fa una bellissima finta. Wilson, lancio per D’Amico ed ecco che arriva Chinaglia e Facco lo vede. Attenzione, è solo davanti alla porta. Tiro! È rete! È rete! È rete! Bellissimo gol! Rete di Long John! Sono tutti felicissimi i Laziali! Dal film "Padrenostro" di Claudio Noce, 2020
Ho conosciuto Fabrizio Ghilardi via social e poi in occasione della presentazione del suo libro Wembley in una stanza, tuttavia, ciò che conta, è che questo piacevolissimo romanzo mi abbia permesso di rivivere un momento indelebile della mia infanzia spingendomi molti anni dopo a riprendere la mia vecchia passione per il “calcio in punta di dita”. Sono nato nel 1975, l’anno dell’ultimo scudetto vinto dal Toro di Gigi Radice, quindi per ragioni anagrafiche non ho ricordi vividi degli anni d’oro della Lazio di Maestrelli e della fine drammatica di Luciano Re Cecconi, ma in questo romanzo c’è una tale ricchezza di storie, di abitudini familiari, di eventi e di trasformazioni nella vita dei due giovanissimi protagonisti, che non si può fare a meno di lasciarsi coinvolgere completamente in questo suggestivo viaggio nell’Italia delle prime televisioni a colori, del calcio romantico e nazional-popolare, degli anni di piombo e della cronaca nera, dei fumetti, dei Gialli Mondadori, dei Ciocorì e Biancorì, delle prime cotte prese a scuola e delle prime esperienze all’estero.
Il Subbuteo è un elegante gioco da tavolo nato in Inghilterra in cui viene simulata una partita di calcio, con tanto di giocatori abbigliati con la divisa ufficiale dei principali club europei e delle nazionali di football, montati su una base semisferica basculante che consente di muovere le miniature sul panno di gioco per la costruzione di azioni finalizzate al goal.
Ideato dall’ornitologo inglese Peter Adolph nel 1947, fu importato nel 1971 in Italia da Edilio Parodi, riscuotendo subito un discreto successo commerciale probabilmente perché aveva una marcia in più rispetto all’autarchico Calciobalilla: riprendeva l’atmosfera di una vera e propria partita di calcio con tanto di giocatori schierati sul panno verde con le casacche ufficiali delle squadre scelte, un notevole corredo di accessori come porte, bandierine del calcio d’angolo, palloni delle competizioni ufficiali, gradinate in stile inglese da gremire con i tifosi e tabellone del punteggio, tutto rigorosamente riprodotto in scala e congegnato in modo da scatenare la fantasia dei ragazzini e degli appassionati di calcio.
Leggere Wembley in una stanza significa salire su una macchina del tempo e rivivere l’eccitazione che abbiamo provato da bambini entrando nel negozio di giocattoli di fiducia per comprare le squadre di Subbuteo e gli accessori più stravaganti, ricordare lo stupore di fronte alla “muraglia di scatolette verdi” contrassegnate dalla numerazione di catalogo come riferimento ufficiale ai colori sociali dei club, serbare il ricordo dell’ansia di tornare a casa per estrarre uno alla volta i giocatori inseriti nel polistirolo e rievocare il desiderio di imparare a memoria le formazioni da schierare, seguendo regole ben precise di strategia e tattica.
È un viaggio nell’Italia tra il 1975 e il 1983, un paese caratterizzato da un fermento culturale vivace ma al contempo violento e ultrapoliticizzato, uno sviluppo industriale in crescita che non ha però scalfito il valore dato ai rapporti sociali.
Detentore di questo apparato valoriale è la figura di nonno Peppe, fondamentale sia in termini di struttura narrativa (è lui che regala il primo Subbuteo ai due nipotini per Natale), sia come “trasmittente” di determinate doti umane e affettive e anche come memoria storica della Lazio e “almanacco vocale” dei campionati dominati dal Grande Torino e dai padri nobili del calcio italiano.
I costanti flash di memoria storica disseminati nel libro rapiscono il lettore e lo portano ad una forma di identificazione e di empatia, soprattutto se si appartiene alla generazione di ragazzini, collezionisti compulsivi delle figurine dell’Album dei calciatori Panini, che hanno trascorso centinaia di domeniche pomeriggio allo stadio con il papà o attaccati alla radiolina per seguire le dirette radiofoniche di Tutto il calcio e le sintesi delle partite di serie A della storica trasmissione RAI Novantesimo Minuto.
Pur avendo un chiaro impianto realistico e autobiografico (i due giovani protagonisti sono i fratelli Ghilardi nel periodo della preadolescenza e dell’adolescenza e Fabrizio è di fede laziale da generazioni), questo romanzo ha la capacità di rendere la storia narrata universale grazie alla naturalezza e al linguaggio adottato, che è quello semplice e immediato dei bambini: è esilarante, per esempio, il racconto della confusione generata dalla notizia del rapimento dell’onorevole Moro che viene scambiato per i centrocampisti Adelio Moro dell’Ascoli o Odilio Moro del Brescia .
Attraverso lo sguardo e la voce narrante dei ragazzini ci si tuffa anche nel calcio britannico e così il mitico stadio inglese di Wembley della partita di FA CUP tra il Manchester United e il Southampton “entra” nell’abitazione dei due fratelli prima attraverso la diretta televisiva a colori per poi essere replicato sul panno verde del Subbuteo. Questo è uno dei segreti del successo del gioco: non serve altro che il kit base delle squadre con i colori giusti, un panno verde da stendere sul pavimento per riprodurre in casa lo spettacolo degli stadi più famosi del mondo.
Wembley in una stanza è un romanzo transgenerazionale sulla poesia magnetica di un gioco da tavolo che attraverso quegli omini di plastica spalanca le porte della fantasia, mette in pace il cuore dei più grandi con il calcio vecchio stampo con cui sono cresciuti e in un certo senso dimostra quanto sia bello mettersi in contatto con lo sguardo dei bambini anche per parlare della storia più o meno recente del Paese.
Certamente il Subbuteo ha perso un po’ di smalto a causa della Playstation, ma oltre a consigliare di leggere Wembley in una stanza, suggerisco di rispolverare le squadre in soffitta o di regalare questo intramontabile gioco ai più piccoli.
Ringrazio Fabrizio Ghilardi perché con il suo libro sono tornato a chinarmi su un panno verde, ad andare a caccia di nuove squadre inglesi e ad emozionarmi tra una risata e un pizzico di sana nostalgia per quel calcio che, come scrisse Nick Hornby in Febbre a 90°, “ha significato e continua a significare troppe cose per me”.