"Qualunque cosa accada, tutte le storie che scrivi,
provengono chiaramente da qualche parte..."Marjane Satrapi
Con questo romanzo a fumetti, la Satrapi si concentra sul tema della solitudine e della malinconia facendo emergere il tormento di un uomo che soccombe ad una sorte avversa, da cui si lascia travolgere giorno dopo giorno in una cornice greve di cui egli stesso paradossalmente è complice.
Partiamo dalla trama: nella Teheran di fine anni Cinquanta, il musicista Nasser Ali Khan resta orfano del suo tar dopo un alterco avuto con sua moglie Nahid, che in preda alla collera distrugge lo strumento donato dal maestro di musica al suo allievo prediletto, innescando nel marito una spirale depressiva che si rivelerà senza via di uscita.
La storia si compone di otto capitoli, gli otto giorni del mese di novembre del 1958 in cui Nasser Ali è alla ricerca furente di un tar che abbia la stessa qualità del suono di quello che ha rotto la moglie, ma sceglie di arrendersi di fronte all’amara constatazione che tutti i tentativi di sostituire degnamente il suo vecchio strumento a corde e di mantenere la famiglia con la sola musica sono destinati a fallire. Si susseguono giornate cariche di amarezza, di sfiducia e di disprezzo per la società nella quale gli tocca vivere, di episodi conflittuali con suo figlio Mozaffar (palesemente distante dalla sensibilità del padre, anaffettivo e indirizzato dalla madre al carrierismo economico) e di riflessioni sulla vita che amplificano un vuoto esistenziale che si rivela incolmabile.
Il protagonista è in bilico tra perenni conflitti coniugali, una costante frustrazione generata dal senso di inadeguatezza instillato dalla moglie, anche a causa delle difficoltà economiche (Nasser Ali e Nahid hanno quattro figli piccoli e i soldi non bastano mai) e il rammarico di aver sposato la donna che non ama e che si rivela incapace di comprendere le esigenze del marito.
Tuttavia, all’origine del tormento di Nasser Ali c’è la storia di amore giovanile con la bella Irâne, figlia di un ricco orologiaio, conosciuta da adolescente negli anni in cui studia musica lontano da Teheran. I due ragazzi sono innamorati e vorrebbero sposarsi, ma il padre di Irâne si oppone ritenendo il mestiere di musicista inadeguato alla classe sociale della figlia.
L’amara consapevolezza di aver mentito a sé stesso accettando si sposare per ripiego Nahid e la perdita del suo inseparabile tar, l’unica cosa che riesca a consolarlo allontanandolo dai dolorosi rimorsi, spingono il protagonista in un baratro esistenziale che ha come tragico epilogo il lasciarsi morire.
Non bastano certamente il pollo alle prugne che la moglie gli cucina provando goffamente a riprendere il dialogo, tantomeno gli inviti del fratello di andare insieme al cinema per vedere La donna del fiume con la bella Sofia Loren per sollevargli il morale: tutto è irrimediabilmente compromesso dalla distruzione dello strumento musicale, quel tar della tradizione persiana che nel racconto a fumetti diventa il mezzo simbolico e mistico che lo lega a Irâne, l’unica donna di cui è realmente innamorato.
Sullo sfondo c’è l’Iran spirituale, ricco di storia, di bellezze artistiche, di tradizioni millenarie e di contraddizioni, condizionato dall’instabilità politico-religiosa, in bilico tra monarchia, repubblica teocratica e rivoluzione islamica: aspetti sociali che hanno influenzato l’adolescenza della Satrapi costringendola a lasciare il suo Paese (la disegnatrice si sposta a Vienna durante l’adolescenza per completare gli studi, torna a Teheran per diplomarsi in Belle Arti ma, a causa del clima politico culturalmente ostile a determinate espressioni artistiche, si trasferisce prima a Strasburgo poi a Parigi, dove nel 2000 raggiunge il successo con il fumetto Persepolis).
- esplicativo per quanto riguarda i termini non traducibili;
- di sintesi storica e di denuncia della palude culturale in cui è caduta la società iraniana dopo la Primavera del 1951 (all’epoca della nazionalizzazione del petrolio);
- infine, hanno la funzione di far conoscere al lettore l’anima popolare più profonda dell’Iran: quella dei poeti persiani come Khayyâm e quella dei dervisci.
Nei fumetti della Satrapi emerge la costante ricerca dell’io perduto, dell’esilio obbligato, dell’identità antropologicamente tradita tipica di chi è costretto a emigrare in cerca di libertà individuali e di un contesto socioeconomico che possa offrire delle chances, un aspetto stilistico quest’ultimo che ha diversi punti in comune con la letteratura di Agota Kristof. Alcune parti della sceneggiatura soffrono forse per qualche stacco temporale di troppo e per alcuni espedienti narrativi tipici del cinema e della letteratura, che in questo graphic novel hanno la funzione di rielaborare pezzi del vissuto dell’autrice svelati nella parte conclusiva della storia con il classico cammeo.
Notevoli sono invece i cambi di registro grafico delle tavole, con le sequenze e le inquadrature che seguono armonicamente il percorso circolare della storia, attraverso stesure di nero coprente che accompagnano i passaggi più cupi e le silhouette ricavate dallo spazio negativo della vignetta.
Chi segue la Satrapi dalla pubblicazione di Persepolis conosce la sua attitudine a lavorare sui contrasti di vuoto-pieno, sul tratto semplice, puro, bidimensionale, senza ricorrere alle sfumature e alle costruzioni prospettiche in cui inserire le scene. L’essenzialità grafica con cui mescola i volti, gli ambienti, gli oggetti, la postura stessa dei personaggi, gli arabeschi mettono in risalto il dolore di Nasser Ali, così come le sequenze del fumetto passano da inquadrature libere, prive di linea di demarcazione tra le diverse scene, a vignette realizzate per sottrazione dalla stesura del nero.
Per questo lavoro, la disegnatrice attinge a risorse visive e pittoriche individuabili nella sua formazione artistica. Osservando attentamente lo schema compositivo di alcune tavole, è evidente la naturalezza con cui riempie il fumetto di elementi decorativi e ornamentali, simili ai gouaches découpée del Matisse più orientale, ma tracciati con il solo pennarello nero oppure ricorrendo a linee bianche ricavate dal fondo nero, in una economia estrema del segno che ricorda i monotipi. Il risultato grafico è semplice, leggero, privo di manierismi ma alla base di questa apparente povertà di linee c’è un notevole lavoro di sintesi anatomica e di studio dell’arte figurativa e decorativa.
Il confronto con alcune opere di Matisse, in particolar modo le incisioni, i disegni a matita e inchiostro e gli studi di figure schizzati a lapis sui taccuini, è stimolante dal punto di vista speculativo e di raffronto stilistico. Analizzando per esempio il quadro La conversazione, emerge la rigidità dei personaggi ad indicare un conflitto di coppia. Tralasciando questa pertinenza dell’iconografia posturale dei personaggi messi in scena dalla Satrapi, con alcune opere famose della storia dell’arte, è interessante far notare la continuità stilistica tra l’organizzazione dello spazio e la presenza di elementi decorativi, il rapporto visivo tra le esigenze narrative del linguaggio fumettistico e l’attenzione richiesta dalla disegnatrice per scovare nella tavola tanti piccoli dettagli grafici.