In molte discipline esistono maestri che possiedono metodo e vocabolario appropriato, ma sono pochi quelli capaci di valutare l’allievo e spiegare l’argomento tenendo conto delle sue capacità e delle sue attitudini. Diciamo pure che sono mosche bianche.Haruki Murakami, L'arte di correre.
L’arte di correre unisce la leggerezza al culto della disciplina fisica e mentale: due elementi che accomunano la scrittura e l’attività della corsa distinguendo chi scrive e corre per diletto da chi lo fa ponendosi degli obiettivi sul medio-lungo periodo. Se si fa parte della comunità di runner che si allenano con costanza a prescindere dalle condizioni meteorologiche, senza cadere in forme ossessive di superamento delle performance sportive, questo libro è da leggere.
L’andatura della prosa adottata dallo scrittore giapponese è coerente con il ritmo del maratoneta, lo stile è agile e nonostante abbia molte cose in comune con la scrittura di un diario. Murakami quasi mai cade nella trappola dei luoghi comuni sul benessere psicofisico delle tante (troppe) pubblicazioni che spuntano quotidianamente nelle vetrine e sugli scaffali delle librerie.
Il titolo italiano è sicuramente poco azzeccato in quanto paradossalmente rimanda ad un comune manuale sul podismo o, peggio, al testo scritto da uno dei tanti personal trainer che utilizzano i social network come strumento di marketing per aumentare la credibilità in rete e spingere i lettori a iscriversi a qualche corso on-line di preparazione atletica.
L’approccio al running di Murakami è di tipo orientale: non ci sono intenti motivazionali, piani di allenamento per principianti, esortazioni a comprare l’abbigliamento tecnico e consigli per iniziare a macinare chilometri.
L’arte di correre è un libro sul lato più spirituale della corsa a piedi, una raccolta di riflessioni sulla pratica della scrittura, sulla piacevolezza della solitudine e sulla perseveranza necessaria per raggiungere un discreto livello di preparazione atletica.
"Correre ogni giorno per un’ora o due senza parlare con nessuno, trascorrere quattro o cinque ore seduto a scrivere in silenzio: non lo trovo né stancante né noioso. È un tratto del mio carattere che ho mantenuto con coerenza fin da quando ero giovane".
In realtà la passione per la corsa arriva tardi. Presa la laurea Murakami apre un jazz-club a Tokyo; l’attività va a gonfie vele e, nonostante la gestione del locale richieda molto tempo e investimenti di denaro e energie, lavora ad orari impossibili pur di intraprendere la carriera di scrittore, dimostrando a se stesso di possedere una notevole forza di volontà. Così, dopo qualche anno, nonostante i profitti del pub siano nettamente superiori ai ricavi provenienti dalla vendita dei suoi romanzi, arriva il momento di compiere una scelta netta, senza troppi tentennamenti:
“Quando ho un progetto, mi ci butto a capofitto e, se va male, accetto di darmi per vinto. Se invece dovessi fallire perché ho fatto le cose a metà, probabilmente me ne pentirei finché campo"
Siamo nell’autunno del 1982, Murakami salda tutti i debiti necessari per l’avviamento del jazz-club e cambia radicalmente stile di vita insieme alla moglie. Smette di fumare, si alza all’alba e va a dormire presto, pianifica con rigore certosino le sue giornate, si dedica completamente e con assiduità alla scrittura negli orari in cui si sente più concentrato, passa ad un’alimentazione basata su verdure e pesce e inizia ad allenarsi con costanza e metodo.
Irrobustire corpo e spirito: è questa connotazione di ritiro spirituale che dà il vero senso al testo. Continuità, perseveranza, costanza, impegno, regolarità, disciplina e lavoro quotidiano: sono questi i pilastri su cui Murakami poggia l’attività di scrittore e di sportivo per raggiungere i suoi obiettivi, che siano la pubblicazione di un nuovo romanzo o la maratona, la 100 Km., la gara di triathlon.
Chi pratica il running conosce bene la filosofia che contraddistingue questa disciplina da tutte le altre; al runner non interessa battere un avversario, mortificare un rivale, praticare questo sport per alimentare il proprio ego. Per Murakami runner e scrittore vincere o perdere non ha alcun senso, conta invece inoltrarsi nei territori più reconditi della propria mente e riuscire a vedere dentro di sé senza guardarsi allo specchio. Misurarsi in una gara di resistenza solitaria come la maratona significa imparare a conoscere molto bene se stessi e il proprio corpo, saper disciplinare le energie, lavorare costantemente sui muscoli e sul respiro, nutrirsi bene, trasformare l’atto di correre in qualcosa di profondo, in grado di farci attingere alla “forza fisica di base”.
New York, Atene, Tokyo, Cambridge, Kitami, Boston sono solo alcune delle decine di città in cui ha gareggiato Murakami. I Lovin’Spoonful,i Red Hot Chili Peppers, Beck e i Gorillaz fanno parte della playlist che ascolta durante gli allenamenti, ma la cifra de L’arte di correre è il rapporto intimo e maturo con la propria solitudine che riesce a dominare grazie all’esercizio fisico costante, metodico, intenso, fino a trasformarlo in una fonte di vita in grado di dominare le debolezze della mente e del fisico, un gesto naturale e non una semplice routine per rimanere in forma.
Non mancano nel libro i racconti di momenti di sconforto per l’implacabile scorrere del tempo, per i limiti oggettivi imposti dall’età, per la difficoltà a superarsi durante gli allenamenti e le gare perché non si è più nel pieno del vigore, ma la funzione più autentica della corsa per Murakami è un’altra: condurre un’esistenza piena e consapevole, essere in grado di compensare le carenze, tutelandosi e lavorando sul rapporto tra energia creativa e forza fisica, senza occultare l’inevitabile declino fisico, ma arrivando comunque al traguardo con gioia.
“Se continuo a esercitarmi con tanto impegno è per regolare e per potenziare le mie capacità fisiche in modo da poter dare il meglio nella scrittura; questo è il mio primo obiettivo, quindi se per allenarmi alle gare non dovessi più trovare il tempo per scrivere, finirei col confondere causa ed effetto”.