"When I went to Palestine I thought I’d do an autobiographical account, and it turned into something more journalistic.
When I was there, something clicked in my head; I found myself interviewing people, searching out facts and figures.
Later on I became much more self-conscious of what I was doing."Joe Sacco, The Art of War, Mother Jones, luglio-agosto 2005
Joe Sacco, disegnatore di origini maltesi e americano di adozione, respinge per le sue pubblicazioni la definizione di graphic-journalism, nonostante si sia laureato giovanissimo in giornalismo e abbia evidentemente trasferito gli interessi e le modalità di lavoro del reportage nei suoi fumetti.
Pubblicato in Italia da Mondadori nel 2002, Palestina si compone di nove capitoli ed è la raccolta di nove albi a fumetti usciti in America per Fantagraphics Books che consacreranno l’autore ai vertici del fumetto indie, tanto da ottenere nel 1996 l’American Book Award.
Joe Sacco fa convergere in quest’opera il suo interesse per la politica mediorientale con l’innesto di diverse tecniche narrative: il fumetto d’autore viene infatti combinato con la narrazione giornalistica dell’inviato di guerra, con il documentario-reportage e con il cinema indipendente. Nel suo soggiorno in Palestina avvenuto nei mesi a cavallo tra il 1991 e il 1992, il disegnatore privilegia le zone di tensione sociale, tra esplorazioni nelle città interessate dal fenomeno ribellistico dell’Intifada, nei campi profughi, nelle case dei palestinesi, sempre alla ricerca di un contatto diretto, di testimonianze sulle pesanti condizioni di vita in cui si vedono costretti a vivere uomini e donne di tutte le età a causa delle politiche di occupazione israeliane influenzate dalle relazioni diplomatiche con gli USA.
Joe Sacco documenta con questo fumetto la vita dei palestinesi, le vessazioni subite, la dinamica di scontro frontale tipica della guerriglia come unica forma di vitalità identitaria e politica.
Come se fosse un fotoreporter si mischia ai manifestanti palestinesi durante le rivolte per descrivere la rabbia quasi catartica con cui vengono lanciati i sassi e le bottiglie incendiarie contro le jeep dell’esercito israeliano e la reazione violenta dei soldati che, in un rapporto di forza fuori scala riprendono il possesso delle strade, delle piazze e dei villaggi con pratiche repressive da regime autoritario: arresti indiscriminati, irruzioni negli ospedali in cui vengono ricoverati i manifestanti, torture sadiche e spesso invalidanti.
Il lettore passa dal racconto del personaggio autore Joe Sacco (presente ai disordini), alla ricostruzione visiva e testuale delle violenze adottate dai militari basandosi sulle testimonianze raccolte e avvalorate dalle ferite sui corpi dei palestinesi. La ritmica dei cambi di registro narrativo funziona grazie all’uso della tecnica cinematografica della soggettiva e dell’oggettiva, rinforzata dall’uso di didascalie che in alcune circostanze hanno la funzione di arricchire con cenni storici le vicende del conflitto israelo-palestinese.
La narrazione procede quindi su tre piani:
- l’intervista intesa in termini sostianzialmente giornalistici;
- l’ uso di flashback;
- l’inserimento di didascalie (in alcune tavole assumono la forma di pecette adesive che “legano” le vignette) per orientare il lettore attraverso i cenni storici sulle fasi principali della costituzione dello Stato di Israele.
La principale voce narrante resta quella dei palestinesi; Joe Sacco esplora i luoghi simbolo del conflitto israelo-palestinese (Gerusalemme, Nablus, Hebron, Ramallah, l’opulenta e occidentalizzata Tel Aviv) alla ricerca di fonti attendibili e di prima mano in grado di testimoniare – proprio come in un documentario – le atroci privazioni e sofferenze con cui diverse generazioni convivono, così come prova a svelarci il particolare legame che uomini e donne conservano con la religione e le tradizioni.
Davanti a innumerevoli tazzoni di té fumante, l’autore ascolta e rende partecipe il suo lettore di quella che potremmo definire una diaspora rovesciata in cui sono gli ebrei a demolire le case dei palestinesi, a espropriare i terreni, a smantellare gli affetti, ad infliggere le punizioni e le umiliazioni più svariate attraverso l’uso della repressione militare, delle violenze dei coloni (apparentemente private ma funzionali al governo), di leggi realizzate allo scopo di sradicare in termini fisici, identitari ed economici il popolo palestinese. Una sorta di cortocircuito speculare della brutalità che sgomenta ricorda le violenze narrate in un altro capolavoro della letteratura disegnata Maus di Art Spiegelman, in cui l’inferno dell’Olocausto viene rappresentato attraverso personaggi del mondo animale.
C’è una cura maniacale di Joe Sacco nel disegnare i volti scavati, i denti mancanti, gli sguardi, il disordine urbanistico delle città devastate dal conflitto, il caos dei mercatini, l’incuria che trasuda dalle baracche che sbucano dalle pozzanghere di fango, le splendide decorazioni dell’arte araba che l’autore americano può ammirare visitando le chiese, la socialità dell’ora del té, le tradizioni religiose da non tradire.
Nel capitolo “Con altri occhi”, la conversazione con due ragazze israeliane di Tel Aviv mira a sintetizzare in poche battute la difficoltà ancestrale di recuperare spazi di pacificazione e di reciproca fiducia tra i due popoli in guerra, denunciando da una parte il sogno di vivere il sogno consumistico occidentale e la totale incapacità di calarsi nei panni dei palestinesi e contemporaneamente la mise en page di sequenze e rappresentazioni del Joe Sacco autore-personaggio-narratore corredate da dialoghi stizziti per le osservazioni delle due ragazze israeliane che tradiscono in un certo senso la disciplina dell’equidistanza politica adottata in tutto il fumetto.
La capacità di focalizzare l'attenzione su molteplici particolari è dovuta alla modalità di lavoro di Joe Sacco. In un'intervista dichiara:
Nel capitolo “Con altri occhi”, la conversazione con due ragazze israeliane di Tel Aviv mira a sintetizzare in poche battute la difficoltà ancestrale di recuperare spazi di pacificazione e di reciproca fiducia tra i due popoli in guerra, denunciando da una parte il sogno di vivere il sogno consumistico occidentale e la totale incapacità di calarsi nei panni dei palestinesi e contemporaneamente la mise en page di sequenze e rappresentazioni del Joe Sacco autore-personaggio-narratore corredate da dialoghi stizziti per le osservazioni delle due ragazze israeliane che tradiscono in un certo senso la disciplina dell’equidistanza politica adottata in tutto il fumetto.
La capacità di focalizzare l'attenzione su molteplici particolari è dovuta alla modalità di lavoro di Joe Sacco. In un'intervista dichiara:
“I’m a big fan of photographs and a big fan of prose writing, too.
But one of the advantages of comics is that you’re drawing frame after frame after frame, so almost in the background scenes you can create this atmosphere that’s following the reader around, that doesn’t necessarily relate to the foreground action but is somehow always present”.Joe Sacco: Graphic History, Mother Jones, 8 gennaio 2010
Sacco usa un bianco e nero netto, che cattura l’occhio per il ricchissimo pattern di tratteggi e di particolari minuscoli che oscillano dalle citazioni dei cartoon alle scritte tracciate con lo spray sulle pareti scheggiate dalle bombe e dai proiettili, dai villaggi cupi e inospitali in cui la pioggia battente diventa parte integrante del panorama agli sguardi colmi di tristezza per la carenza di prospettive e di futuro.
In alcune tavole lo sguardo del lettore viene quasi inghiottito dal ritmo compulsivo del tratteggio. Il disegnatore americano modula la linea di contorno alternando diversi spessori e diversi volumi di nero, alla ricerca di un dinamismo dell'immagine che travolga il lettore.
La presenza di tessiture tracciate con i pennarelli a punta fine in diverse direzioni è di fondamentale importanza nell'economia visiva e artistica delle tavole di Joe Sacco: l’occhio viene rapito da vere e proprie texture che in alcune pagine si infittiscono fino a raggiungere il nero pieno.
Palestina è un fumetto che richiede attenzione per i particolari distribuiti sulla tavola, mira all’informazione politica e innesca domande, Joe Sacco vuole introdurre il lettore in quei posti, fargli sentire l’umido della pioggia, la sporcizia del fango, il caos urbanistico, la viabilità scomposta, l’incuria delle città, il profumo de té, il puzzo dei lacrimogeni; non desidera sostanzialmente che si prenda posizione per una delle due parti in conflitto, ma vuole che il suo fumetto riesca a coinvolgere sensorialmente ed emotivamente il lettore.
Nel capitolo “Pellegrinaggio”, per esempio, la costruzione delle sequenze non seguono più un andamento asimmetrico, ma accompagnano le inquadrature a campo lungo sotto forma di un reticolo composto da riquadri simmetrici separati da margini canalina neri. Ovviamente non si tratta di una scelta casuale o banalmente stilistica, ma di un “trucco” da montatore cinematrografico per focalizzare il climax sulle immagini sospendendo momentaneamente i dialoghi.
Il libro merita i riconoscimenti ricevuti non solo per il peso storico, politico e umano del tema trattato, ma soprattutto perché Joe Sacco possiede un’abilità di scrittura e di disegno che gli consente di muoversi agilmente tra fumetto, documentario, cinema, letteratura, giornalismo a seconda delle esigenze narrative, superando anche la formula tanto di moda di graphic journalism.