"Nessuna cosa al mondo potrebbe darmi l’esaltazione che mi dà l’idea di combattere contro il mondo intero"Diabolik, L’assassino dai mille volti, 1964.
Prendete un pizzico di ferocia criminale di Fantomas, miscelatela con l’astuzia e l’abilità di Arsenio Lupin, guarnite con la tradizione dei romanzi di appendice (per esempio Rocambole) e del romanzo giallo et voilà, la ricetta perfetta del primo e più longevo fumetto nero italiano: Diabolik.
Il Re del terrore quest’anno compie sessant’anni e gode di ottima salute in termini di vendite in edicola, come nel mercato dei collezionisti. Insomma, il tempo passa ma il Signor Diabolik non sembra risentirne più di tanto.
Alla base della vitalità perpetua di uno dei personaggi dei fumetti più discussi, ostracizzati, letti e amati c’è un cocktail perfetto fatto di fiuto per gli affari, piglio culturale e gusto borghese delle sorelle Angela e Luciana Giussani.
Diabolik nasce come prodotto editoriale da edicola per una lettura veloce e disimpegnata da godersi sul treno o sul tram mentre si raggiunge il posto di lavoro.
Nei suoi albi non è prevista la cattura del colpevole e della sua complice grazie all’escamotage narrativo del bluff e del mimetismo, così, il classico gioco oppositivo tra gatto e topo, tra l’inafferrabile Diabolik e il Commissario Ginko, trasforma il protagonista in un esperto ladro in calzamaglia nera con doti di intelligenza e astuzia quasi soprannaturali.
Un plot ben oleato che si rinnova da sessant’anni in ogni albo, anche dopo la scomparsa delle sorelle Giussani, impermeabili alle critiche mosse da una frangia di intellighenzia che le accusava di adottare un’estetica piccolo-borghese, probabilmente per la componente “superomistica” che aveva diverse analogie con Il Conte di Montecristo di Dumas.
Torniamo però al contesto storico, sociale e culturale delle creatrici di Diabolik e al particolare periodo in cui l’uomo nero ha fatto la sua comparsa in edicola. Angela Giussani (nata a Milano il 10 giugno del 1922) e la sorella Luciana (nata a Milano il 19 aprile del 1928), crescono in una famiglia abbastanza conservatrice della borghesia milanese. Il padre, Enrico Giussani, è uno stimato imprenditore del settore tessile, la madre, di origini svizzere, Vittorina cerca invano di indirizzare le due bambine al culto della famiglia e alla vita matrimoniale. Tuttavia, entrambe le sorelle rivelano già da ragazzine una spiccata attitudine all’emancipazione, all’autodeterminazione, alla curiosità intellettuale, allontanandosi presto dalla formazione che le suore dell’Istituto di Santa Marcellina di Milano provano a inculcare loro durante gli studi superiori.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la famiglia Giussani si trasferisce a Cervia dove Angela fa la conoscenza di Gino Sansoni, un giovane spumeggiante di quindici anni più anziano che non nasconde le sue simpatie per Benito Mussolini, la sua sfrenata passione per la squadra del Milan e per il mondo dell’editoria.
Nel 1944 i Giussani fanno ritorno a Milano e il capoluogo lombardo rivela più di altre città italiane una irrefrenabile voglia di rinascere dalle macerie della guerra. Sotto la Madunina il ritorno alla “normalità” coincide con un fermento industriale e sociale di proporzioni storiche che ha avuto il merito di mettere in contatto culture diverse, producendo un progressivo e profondo cambiamento dei consumi di massa e, nelle arti visive come nella letteratura, un cambio di percezione dell’antica dicotomia “buoni vs cattivi” che assumerà via via nuove sfumature: “il male” può intaccare anche il mondo della classi abbienti e quello delle donne insinuandosi in tutte quelle categorie che risultavano “immuni” ai fatti di cronaca nera. Nell’immediato dopoguerra, l’industria culturale italiana è dinamica e vitale, nascono numerose case editrici e alcune, come la Fabbri e la Bur Rizzoli, si distinguono sul mercato per pubblicazioni e collane editoriali rivolte alla cultura popolare. Riviste e libri controcorrente rispetto alla cultura dell’impegno di matrice ideologica favoriscono la diffusione di storie e contenuti in linea con una nuova dimensione del tempo libero.
Nei salotti della “Milano bene” Gino Sansoni riprende il corteggiamento di Angela Giussani. Così, l’ambizione sfrenata del “Dottor Sansoni” - pare che Gino amasse pavoneggiarsi con un titolo accademico mai conseguito - lo porta a coronare due sogni che coltiva da diversi anni: aprire un’agenzia pubblicitaria, iniziando a muoversi negli ambienti del mondo editoriale e sposare Angela. Nel resto della penisola, intanto, i veloci processi di emigrazione e urbanizzazione, lo sviluppo industriale dell’area settentrionale, la diffusione capillare della televisione, accelerano la trasformazione sociale ed economica della nazione e il fumetto, considerato una lettura esclusivamente per i ragazzi in età scolare inizia a destare l’attenzione anche degli adulti.
Angela Giussani, dotata di un formidabile fiuto imprenditoriale, avverte che i tempi sono maturi per lanciarsi sul mercato editoriale con un progetto tutto suo:nel cucinotto dell’appartamento che ospita gli uffici di Gino Sansoni nasce l’Astorina una casa editrice costola dell’Astoria con una identità forte come quella della proprietaria.
Per la sua creatura mira ad un fumetto che si distacchi nettamente dalla concorrenza. La scelta del character, le tematiche affrontate, l’impiego rilevante delle didascalie, il layout di pagina, il formato tipografico, la stessa pianificazione pubblicitaria, economica, ma capillare e mirata al target, costituiranno gli elementi imprescindibili di quel particolare lavoro di marketing che oggi usiamo definire buzz.
Angela Giussani attinge a piene mani dai feuilletton ottocenteschi, da Fantomas per le atmosfere inquietanti, da Arsenio Lupin per il culto del furto praticato con stile, dalla tradizione del giallo francese e inglese per la meccanica dei colpi di scena utili nell’economia della sceneggiatura.
La Giussani utilizza un filone narrativo della tradizione popolare e lo trasforma in chiave moderna per intercettare un nuovo tipo di pubblico giovanile attratto dall’eroe negativo, anarchico, in costante contrapposizione con la società.
Sta in questa visione strategica e commerciale buona parte del successo di Diabolik, ottenendo risultati di vendita nei classici circuiti del fumetto come le edicole e le librerie, mantenendo inalterato il valore degli albi originali nelle aste di settore frequentate dai collezionisti più accaniti.
Anche il nome del fumetto è frutto di un ragionamento focalizzato sul personaggio da inserire in un nuovo mercato. Angela vuole dar vita ad un antieroe scaltro, intelligente, fisicamente forte, dotato di una genialità indirizzata al servizio del male, insomma, ad un uomo diabolico e anche in questo caso riemerge lo stretto legame narrativo, visivo ed editoriale con Fantomas.
Il nome del protagonista pare derivi dall’appellativo Diabolos utilizzato per un serial americano degli anni Venti, basato sull’opera di Marcel Allain. Per differenziarlo si utilizza la lettera K passando così da Diabolicus a Diabolik, usata anche per l’antagonista Ginko (deformazione del nome di Gino Sansoni) e per Eva Kant (il cui cognome è un omaggio al filosofo di cui Angela Giussani era una appassionata lettrice).
Il logo della testata è progettato da Remo Berselli, che adotta un lettering dalle aste irregolari e sbavate che ricorda una scritta tracciata a vernice su un vecchio muro di cemento. Il formato tipografico è nuovo nel panorama dei fumetti italiani: un economico 11,5 x 16,5 cm comodo da tenere in tasca o in borsa come un pocket, stampato in un rigoroso bianco e nero retinato, dal dorsetto brossurato e con una copertina in cartoncino stampata a colori che spicca in edicola per i contrasti cromatici netti.
Abbiamo già detto che nulla è casuale nella creazione di Diabolik: anche per il layout delle 128 pagine interne la scelta è quella di adottare uno schema di base che preveda da due a quattro frame dalle cornici nette per facilitare la lettura del fumetto e la gestione stessa delle scene distribuite nella tavola, spesso intervallate da didascalie descrittive, esplicative e riassuntive, tutte funzionali al plot narrativo di un fumetto autoconclusivo.
Diabolik è una serie emblematica di una fiction semplificata nei suoi elementi narrativi e tuttavia suscettibile di trasformarsi secondo le dinamiche comportamentali e di gusto dei suoi lettori, le alterazioni collettive della domanda d’immaginario e dei giudizi nel consumo, i processi di successiva delineazione di un lettore più coinvolto nella politica e nelle ideologie di massa. Per questo tuttora Diabolik risulta essere il sorprendente campione di una produttività seriale che conserva la propria auge nel mercato nazionaleGino Frezza, La scrittura malinconica. Sceneggiatura e serialità nel fumetto italiano,
La Nuova Italia, 1999
l Re del terrore, il primo numero di Diabolik, esce nelle edicole italiane il 1 novembre 1962. La cover, con un primo piano del protagonista mascherato, presenta in basso a sinistra una donna che urla spaventata in preda al terrore, predominano i colori rosso e nero con netti contrasti tipografici, il claim, che accompagna il logo di testata, cattura i lettori appassionati di racconti gialli e polizieschi. La scritta “Il fumetto del brivido” è rigorosamente in giallo, come giallo è il bollino che è usato per comunicare il costo popolare di 150 lire.
I disegni del primo numero sono di Angelo Zarcone, misteriosamente scomparso dopo l’uscita in edicola (una storia degna di Chi l’ha visto?), una misteriosa sparizione che contribuisce ad alimentare l’alone di mistero intorno a Diabolik.
A partire dalla seconda uscita, a causa delle ristrettezze di budget, si alternano diversi disegnatori, tra cui un’amica di Angela Giussani, Luigi Marchesi, Virgilio Muzzi, Erminio Ardigò, un “cambio di mano” e di stile grafico che accompagna il fumetto fino al numero 10, L’impiccato, disegnato da Enzo Facciolo, che ha le competenze tecniche per uniformare l’aspetto del protagonista, di Eva Kant, di Ginko e Altea. Facciolo diventa il disegnatore storico nonché uno dei collaboratori più stimati dalle sorelle Giussani.
Angela Giussani chiede al suo disegnatore di “agganciare” i protagonisti principali del suo fumetto ai volti più popolari del divismo cinematografico e televisivo. Anche in questo caso la scelta si rivela vincente. Diabolik viene disegnato con le sembianze di Robert Taylor, Eva Kant di Grace Kelly, la moglie di Ginko, la Signora Altea, ha molti tratti in comune con Capucine. Le somiglianze tra i personaggi dei fumetti e i volti del cinema svolgono la duplice funzione di facilitare la memorizzazione dei protagonisti e attivare una sorta di familiarità affettiva.
Diabolik sin dalle prime uscite vende bene e la redazione dimostra di saper reggere i tempi serrati della serialità, rispettando le consegne in edicola grazie ad uno staff professionalmente valido e ricco di idee come Patricia Martinelli, Luisa Poli, Mirella Arisi.
Dal numero 13 Luciana Giussani inizia la collaborazione con la sorella maggiore, lasciando l’impiego nella azienda di aspirapolveri Folletto. La coppia nel corso degli anni diventa una vera e propria case history di affiatamento e sintonia creativa, nonostante le differenze di temperamento tra le due.
Angela ha impostato con risolutezza e visione imprenditoriale la vertebratura del fumetto. La standardizzazione dei tempi, della grafica e dei contenuti, le coordinate redazionali con i collaboratori più assidui e la costruzione delle sceneggiature secondo l'impianto narrativo resteranno immutate negli anni.
Le storie di Diabolik hanno fatto scuola in termini di serialità grazie a pochi ma chiari segni distintivi intorno ai quali far ruotare la narrazione:
- L'obiettivo del furto (gioielli di valore e somme ingenti di denaro).
- L’individuazione della vittima da sequestrare clonandone l’identità attraverso travestimenti che depistano il commissario di polizia.
- L’ambientazione geografica a Clerville, un luogo di fantasia che ricorda vagamente Parigi, Marsiglia e alcune città inglesi.
- La complicità della compagna di vita e di furti Eva Kant, con cui Diabolik mette a segno colpi rocamboleschi;
- Il costante tentativo del Commissario Ginko – sistematicamente destinato a fallire – di catturare i due amanti, mantenendo un profilo di correttezza poliziesca nella gestione delle indagini.
Pur rivolgendosi ad un pubblico adulto, gli albi di Diabolik si caratterizzano per uno stile preciso che rispecchia la personalità delle Giussani: c’è un’eleganza di fondo che non fa scadere le storie in episodi di morbosità, ferocia, sadismo e torture per estorcere confessioni. Il protagonista non è un killer spietato e perverso, i suoi furti rappresentano una sfida al sistema e per raggiungere il suo obiettivo adotta un personale codice di onore: non usa armi da sparo ma si affida al suo pugnale, alla conoscenza della chimica, alla realizzazione delle maschere e ai cavalli della sua fiammante Jaguar E-Type, con cui si prende gioco della polizia e nella fattispecie del Commissario Ginko, il suo contraltare.
Il buongusto borghese delle Giussani non basta a impedire continui tentativi di sequestro e numerosi processi per “incitamento al crimine” da parte di un magistrato parruccone di Lodi, mentre la convivenza tra Diabolik ed Eva Kant farà discutere gli ambienti più bigotti dell’Italia dell’epoca.
Le sorelle Giussani hanno modificato con i soli strumenti della leggerezza e dell’intelligenza le convenzioni borghesi e un certo tratto stilistico, narrativo e anatomico un po’ rozzo che contraddistingueva il fumetto per adulti di quegli anni.
Nel 1966 Diabolik raggiunge la tiratura di 300.000 copie avvicinandosi al successo di Tex, Zagor, L’Intrepido e Il Monello. Le Giussani non vogliono che Diabolik diventi un fumetto di culto o di controcultura, la loro creatura deve conservare la sua anima popolare, non deve attirare il pubblico di intellettuali e semiologi.Diabolik nel corso degli anni è diventato un’autentica icona Pop: testimonial di campagne pubblicitarie a tema sociale (la campagna referendaria sul divorzio) e commerciale (Tapparelle Croci); protagonista di adattamenti cinematografici (l’ultimo è del 2021 diretto dai Manetti Bros.), ispirazione per parodie televisive come Dorellik del 1967, padre nobile del filone del fumetto nero italiano (Kriminal e Satanik in primis), spunto per la creazione di personaggi dei comics come Paperinik e per la creazione di strisce che lo “citano” con taglio umoristico e grottesco come Cattivik. I suoi occhi diabolici rimarcati dal passamontagna sono talmente iconici da diventare un marchio distintivo, un contrologo usato anche in contesti lontani dal mondo del fumetto come la Curva dei tifosi della Lazio.
In occasione del suo sessantesimo anniversario sono state organizzate e allestite numerose mostre, ristampate le storie più famose, prodotte stampe di pregio come Il Libro rosso (edito dalla NPE), che ripercorre la storia del personaggio, così come non sono mancati tributi istituzionali alle sorelle Giussani come l’intitolazione del Giardino di Piazza Grandi a Milano.
Omaggi a parte, si spera che le operazioni culturali di “nobilitazione” di un fumetto come Diabolik, che ha fatto scuola e storia (nonostante le pesanti critiche degli anni Sessanta-Settanta, mosse spesso da intellettuali vicini al mondo del fumetto come Umberto Eco), non si trasformino in una forma meramente celebrativa, edulcorata e politically-correct del “Re del Terrore”.
Che il nostro Diabolik torni nei prossimi numeri a quel sano anticonformismo che lo ha reso un fumetto da amare o odiare, che non perda il culto per la leggerezza che era un marchio di fabbrica delle autrici, e soprattutto non cada nelle storie buoniste, politicamente corrette, annacquate sul piano del brivido.
Che torni al più presto in edicola il Diabolik vecchio stampo che amava stare dalla parte del torto, l’antieroe in calzamaglia “nera”.
Angela Giussani sessant’anni fa ha intenzionalmente intercettato un nuovo pubblico di lettori disimpegnati, attratti dal mondo degli antieroi. Niente di più e niente di meno.